Intervista a cura di Maurizio Vitiello a Giuliana Poli, autrice de “L’Antro della Sibilla e le sue Sette Sorelle”.
MV – Sappiamo che trascorri delle splendide serate a Napoli, Napoli è una città che ti attira?
G.P. – Napoli è una donna ferita che nasconde dentro di sé un tesoro. Come tutte le donne offese da ignoranza e malcostume, mostra il peggio di sé. Quando arrivo in stazione, mi accoglie con due ceffoni fatti di rumori assordanti e sporcizia a cui non sono abituata, ma essendo persona che non si rassegna mi metto in ascolto … e dopo un po’ comincio a sentire un canto armonioso, una musica che stringe il cuore, sillabe che parlano d’amore dolce e passionale insieme che rapisce i sensi ed accende un grande fuoco. Napoli è molto femminile, è la città della Sirena Parthenope che non si concede a tutti, ma soltanto a coloro che sono in grado di comprenderla. Ogni volta che arrivo in città, mi sento disorientata e confusa, ma Lei arriva sempre, mi riconosce, mi avvolge e sento che mi vuole bene ed anche io gliene voglio, e tanto! Tra le sue braccia ho conosciuto il mio editore Pietro Golia che ha creduto in me e verso il quale ho tanta gratitudine e poi persone buone, disponibili, divertenti e molto preparate, ora tutti veri e preziosi amici. Napoli quindi non è solo una città che mi attira, ma la sua parte sublime, la più profonda e velata mi appartiene come io appartengo a Lei.
MV – Da giornalista e ricercatrice di tradizioni popolari e culti pagani ti muovi in parallelo alla contemporaneità o cavalchi una contemporaneità “altra”?
GP – Mi occupo di tradizioni e culti pagani e ritengo di essere contemporanea sì, ma anche ricercatrice di una contemporaneità altra. Il concetto di modernità non è da buttare via a patto che realizzi dei progressi. Purtroppo nella nostra attualità essere moderni significa non essere influenzati da niente e nessuno, vuole dire affermazione di se stessi nella società a qualunque prezzo, vuol dire essere edonisti e correre … correre a più non posso senza fermarsi a pensare. Stranamente oggi la nostra massima aspirazione è quella di occuparsi di tante cose fino a logorarsi nello spirito e nel corpo, essere sempre in movimento ci dà stabilità psichica. Il susseguirsi di tanti impegni rafforza la nostra identità, ma se solo ci fermassimo a pensare un istante, senza questa stabilità saremmo invasi dall’angoscia e dall’ossessione del niente. Siamo vuoti. Per questo cerco una contemporaneità altra che significa cercare di vivere bene in questo mondo guardando al passato e al futuro, non bisogna focalizzare la mente solo sul presente, sulla sopravvivenza immediata, ma cercare il Kalokagathia dei greci, una bellezza interiore cosmica ed universale che rende belli anche esteriormente. Bisognerebbe cercare di rientrare in contatto con la spiritualità degli elementi della natura come facevano gli antichi, cercare di togliere gli stradi di materia che abbiamo addosso che ci rendono ciechi e tristi.
MV – Quanto pensi che il pubblico sia interessato alla tradizioni e quanto al futuro?
Una delle cause del nostro malessere è senz’altro la rottura con il mondo della tradizione, con la spiritualità dei nostri avi e con l’uomo dei tempi antichi. Come afferma J. Evola “dall’affermazione di una spiritualità eroica ed aristocratica si è passati ad una materializzazione e standardizzazione di ogni forma di vita, per cui oggi non siamo in una fase evoluta ma involuta”. Le tradizioni sono scomparse, essendo nate in seno al paganesimo, la Chiesa ha cercato di sradicarle senza esito positivo, ma là dove la Chiesa ha fallito, il concetto di modernità ha avuto successo. Le tradizioni sono legate all’esistenza del mondo contadino che affondano le radici al mito della dèa Demetra che donò l’agricoltura ed i misteri, perché attraverso l’agricoltura il contadino, entrando in contatto con le forze della natura, con i suoi ritmi di esistenza in armonia con le forze cosmiche, diviene simbolo e supporto dell’elevazione interiore. L’avvento dell’urbanizzazione ha determinato, pian piano, la fine dei nostri punti di riferimento, il nostro contatto con la Madre Terra che percepiamo come un’entità che non ci appartiene, che stiamo riducendo a deserto, incuranti del suo destino e di conseguenza del nostro. Bisogna, però, vedere l’attuale situazione in maniera positiva perché dalla decadenza si risorge sempre, dopo il Kali Yuga ci sarà una nuova età dell’oro. Nell’era dell’Acquario assisteremo ad un ripensamento generale e ad un riavvicinarsi alle leggi della morale cosmica, alle nostre tradizioni, ai nostri avi perché l’eccessivo individualismo ha prodotto troppa sete di AMORE!
MV – Hai collaborato ampiamente con Mario Polia sul libro “Tra Sant’Emidio e la Sibilla” Edizione Forni, Bologna, 2004. Puoi indicarci il tuo apporto?
GP – Ho intervistato un centinaio di persone dislocate nella zona dei MontiSibillini, riscoprendo tra gli anziani tutto ciò che ancora li legava, almeno nel ricordo, alle antiche pratiche pagane collegate alle feste calendariali, alla luna, al sole, al fuoco, alle antiche preghiere di origine pagana che scandivano la giornata, alle “novene” (un’eredità sciamanica) che si recitavano in attesa del Natale o per esaudire particolari desideri. Abbiamo riscoperto i “mazzamorelli”, folletti dispettosi che si divertivano a spaventare grandi e piccini, le favole e cantastorie, le mie preferite, perché molte di esse nascondono nel loro interno antichi saperi, occultati in periodi d’inquisizione nella speranza che nel futuro altri uomini li potessero riscoprire e capir … Con Mario Polia parlavo a lungo di questi temi ed accettava anche miei consigli perché è una persona che ha molta considerazione della donna in genere e dell’intuito femminile. Lui non mi ha mai fornito suggerimenti espliciti, però spesso con frasi velate è riuscito sempre ad attivarmi e scatenare la mia curiosità. Per me è stato un maestro perché ho studiato in maniera profonda il Suo modo di lavorare, di relazionare con le fonti orali e, poi, di rielaborare le loro parole, ma soprattutto ho imparato ad “incarnare” il senso della tradizione attraverso il cuore.
MV – “L’Antro della Sibilla e le sue Sette Sorelle” è il tuo primo libro firmato?
GP – Si è la mia prima creatura … partorita con dolore e sofferenza, che mi ha cambiato profondamente, ma che mi sta regalando anche tante soddisfazioni.
MV – Il saggio introduttivo è firmato da Stefano Arcella, è studioso che conosci da tempo?
GP – Da circa due anni, l’ho conosciuto alla presentazione di un libro di Controcorrente Edizioni. All’inizio ci siamo un po’ studiati, poi è nato tra noi un bel rapporto di amicizia e scambio culturale molto vivace, a volte anche polemico, ma molto proficuo per entrambi. Devo ringraziare Stefano, la sua professionalità ed il suo rigore. Ho imparato molto da Lui. Il suo saggio introduttivo è stato molto appezzato da tutti, perché ha rivelato un legame stretto e profondo con la terra dei Monti Sibillini che gli ha permesso di coglierne il senso, la sua particolare energia eterica e raffinata che ti spinge verso l’alto e che riesce a trasmutare il corpo e l’anima …
MV – Nella tua vita privata hai fatto di tutto, sei stata campionessa sportiva, procuratore legale, attrice di teatro e mamma di due splendidi ragazzi ed hai tanti altri interessi per esempio la pittura e la storia dell’arte in generale non contemporanea, però … Sei curiosa?
GP – Vorrei non morire mai per vedere quello che succederà nel mondo, come andrà a finire … non sono forse curiosa? La curiosità è femmina e prelude il desiderio di rinnovarsi continuamente, ti spinge ad osare a superare, talvolta, anche il senso della realtà, per cui cerco di moderare il mio desiderio di conoscenza perché l’eccesso non porta mai buoni frutti …
MV – Il cuore della tua attenzione dove ti porta? Le prossime presentazioni della tua “creatura” dove saranno e perché?
GP – La prossima presentazione del mio libro sarà a Norcia in Umbria, luogo pagano della dèa Northia, terra di negromanti ma anche di San Benedetto che visitò ricordiamolo la grotta della Sibilla Appenninica …
MV – Hai in mente un secondo libro?
GP – Certo; non la prendere come una scortesia, ma, dopo una brutta esperienza avuta in passato, ho capito che le idee è meglio tenerle per sé …
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