La pubblicazione del libro di Giuliana Poli “L’Antro della Sibilla e le sue Sette Sorelle” (edito a Napoli da Controcorrente) e l’attenzione che ne è scaturita in diversi ambienti culturali di diverso orientamento sulla Sibilla appenninica e la storia dei monti Sibillini, offre l’opportunità di una riflessione critica su un metodo di ricerca che non viene accettato, di solito, dalla cultura accademica ma che ha un suo spessore ed una lunga storia di elaborazione; mi riferisco a quel metodo che, nella letteratura sulle tradizioni antiche, viene definito “metodo tradizionale” con riferimento al concetto di Tradizione inteso come nucleo di valori spirituali perenni che sotto varie forme si manifestano nelle varie situazioni storiche ed ambientali.
Fu il filosofo Julius Evola – del quale qui interessa il profilo di pensatore e di esoterista, studioso delle tradizioni antiche – a coniare, per primo, questa definizione nella sua opera “Rivolta contro il mondo moderno” nel 1934. E’ il metodo che privilegia l’attenzione per il mito ed il simbolo, intesi come principale espressione dell’anima di una civiltà, dei suoi valori più profondi e vissuti, della sua peculiare sensibilità. Un mito come quello del Graal ci dice, ad esempio, sull’anima del Medio Evo europeo più di quanto ci dicano le sequenze di battaglie, di dinastie, o di lotte per le successioni dinastiche.
Ciò non vuol dire che tale approccio svaluti i dati scientifici; le risultanze archeologiche ed epigrafiche, le fonti letterarie vengono anzi valutate con attenzione ed inserite in un contesto più ampio e profondo, dove il mito ed il simbolo ci parlano il linguaggio dell’anima, esprimono il cuore dell’uomo, la sua capacità di sentire e non solo di pensare. E’ un metodo, quindi, che coglie uno stile sintetico-intuitivo che era tipico dell’uomo delle civiltà antiche.
Dietro questa elaborazione evoliana c’erano tanti fermenti; l’attenzione al mito nell’opera di J.J. Bachofen Das Mutterrecht (“Il Matriarcato”), il rilievo dato alla centralità della religione per comprendere le società del mondo antico nell’opera “La Cité antique” di Fustel de Coulanges, solo per limitarci ad alcuni esempi precedenti, fra altri che pure andrebbero considerati.
Orbene, il libro di Giuliana Poli segue proprio questa impostazione di metodo e con uno spirito intuitivo e diretto – tipico della personalità dell’Autrice – privilegia l’attenzione al mito della Sibilla Appenninica, ai simboli incisi sui portali degli edifici storici o di semplici case, per cogliere l’anima della “cultura
sibillina” e, più in generale, di quella picena. Dallo studio della litania delle Sette Sorelle emerge, ad esempio, l’elemento caratteristico del canto “ispirato” e delle sonorità rituali quale tratto specifico della Sibilla di queste terre, l’analogia e l’affinità con le Sirene (che, in origine, erano figure alate), la centralità del numero 7 come numero mistico e simbolico.
Tante altre cose, nel merito, vi sarebbero da osservare, ma in questa sede basti dire che se non si comprende il particolare approccio di metodo della saggista ascolana non si va lontano nel comprendere il senso complessivo di questo libro dalla prosa fluente e dai contenuti “fuori dagli schemi” .
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